Cammino di Sant’Albertino - 1° Tappa
Montone - Cima di San Benedetto Vecchio
“Passo dopo passo nuovi orizzonti si aprono alla tua vista : vai oltre !”
Quello che vedi a fianco è il profilo altimetrico della tappa : in verticale puoi vedere la quota in metri sul livello del mare e in orizzontale la distanza in chilometri da Montone ( punto di partenza )
Ti consigliamo di caricare le tracce su un ricevitore GPS , perché alcuni tratti del cammino potrebbero non essere coperti dal segnale telefonico
Se vuoi vedere l’interno della Chiesa della Madonna dei Confini puoi concordare un appuntamento con Alessandro e/o Silvia , telefonando al numero 338 8000341.Per mangiare e dormire nei pressi della località Cima di San Benedetto Vecchio puoi chiedere ospitalità pellegrina a : Marcello Monacelli o Elisabetta Nardi , località Mazzangare 50 , 06026 Pietralunga (PG) 331 / 52 40943 333 49 06 507 e-mail : marcello7489@gmail.com , betta10a@libero.it oppure a Sergio Clementi 075 - 946 05 39 cell. 340 6667044 . Oppure , qualche chilometro oltre , puoi rivolgerti ad Agriturismo Borgo San Benedetto ( prezzi per pellegrini ) . C’è inoltre la possibilità di telefonare ai vari alloggi per pellegrini siti a Pietralunga : sono abituati ad andare a prendere i camminatori e a riportarli ai punti di partenza della tappa. Ad esempio :
Hotel Tinca, via Giovanni Marconi 7 - Pietralunga tel. 075 9460057 / info@hotel-tinca.com
Hotel Candeleto, via delle Querce 3 - Pietralunga tel. 075 9460083 / 9469854 / 9460330 / info@hotelcandeleto.com
BREVE DESCRIZIONE DEL PERCORSO
Dalla piazza di Montone esci sotto l’arco, prosegui a sinistra : in fondo al parcheggio delle auto a sinistra trovi una fila di scalini in cemento e da lì prosegui verso la Chiesa della Madonna delle Grazie e poi imbocchi la strada Montone Pietralunga e continui sulla stessa strada . Dopo la curva del bivio che va a Piedi De Saddi inizi a scendere e sulla sinistra puoi vedere già la meta del cammino, il gruppo del Monte Catria, , in cui è collocato il monastero di Fonte Avellana .
Continua la discesa sino a che la strada diventa pianeggiante : tieni la destra , attraversa un ponte e arrivi alla località chiamata Tre Ponti : passa sopra un ponte e ti trovi davanti una strada asfaltata : attraversala e imbocca la strada bianca posta proprio davanti e segui il sentiero CAI n. 116 sino a S Faustino ( segnaletica bianco/rossa ) . Quindi prosegui in salita in mezzo al bosco ombreggiato seguendo , nei punti dubbi , il percorso definito dallo stemma camaldolese sino a che arrivi a incrociare una strada imbrecciata , con un cartello del CAI sentiero n. 116 che indica : Chiesa Madonna dei Confini 5 minuti a sinistra .
Oltrepassata la Chiesa ( che rimane sulla sinistra ) prosegui in direzione San Faustino , all’inizio camminando sul crinale , con vista molto bella su Montone , Rocca d’Aries e , sullo sfondo, Pieve de Saddi , quindi scendi a valle e prosegui per un tratto tra campi e boschi per poi arrivare a località San Faustino : è una vecchia abbazia benedettina trasformata ora in albergo ( resort ) ( è l’unico punto di ristoro durante il percorso ).
Continua dritto direzione Pietralunga camminando circa sempre sul crinale , godendoti la vista di meravigliosi panorami verso Pietralunga ( a sinistra ) e Gubbio ( a destra ) , con il massiccio del Catria che ogni tanto appare e scompare alla vista ; a questo punto puoi chiedere ospitalità pellegrina come sopra specificato o proseguire verso l’Agriturismo Borgo San Benedetto
LA NATURA LUNGO IL CAMMINO
Lungo il percorso potrai vedere bellissimi panorami verso le valli e le colline circostanti , arricchiti da un variegato gioco di colori fatto dalle foglie degli alberi e dai fiori : la valle del Carpina viene chiamata anche “ valle dei fiori “ perchè in epoca rinascimentale vi erano numerosi molini ad acqua che lavoravano le piante tintorie (come il guado, Isatis tintoria) producendo colori naturali per l’industria tessile della vicina Firenze.
I boschi di carpino nero, orniello e querce che andrai ad attraversare ti faranno sentire le loro voci , se poi hai la fortuna di incontrare caprioli o scoiattoli , cerca di restare immobile : così , forse potrai osservarli sia pure per un attimo . Lungo il percorso trovi l’Abbazia di San Faustino , ora ristrutturata come Resort , sempre molto bella da vedere e come sosta per fare merenda ( è l’unico punto di ristoro durante il percorso ) .
Anno Domini 1765 : una pastorella di nome Margherita, all’improvviso non trova più le proprie pecore : trafelata corre per il colle fino a che le vede vicino a una minuscola cappella , detta Madonnuccia, in località San Lorenzo di Montone : la pastorella riferisce poi al priore dell’allora Abbazia di San Faustino che l’immagine della Madonna le parla più volte e le chiede di costruire una Chiesina in quel luogo e di non preoccuparsi per il costo perchè “ quel monte è pieno di quattrini” . Effettivamente il fatto suscita notevole scalpore e le offerte piovono numerose , sino a che nel 1771 si inizia a costruire l’attuale Chiesa della Madonna dei Confini ( così chiamata perchè sita al confine delle Diocesi di Città di Castello e Gubbio ) , consacrata nel 1774 . E’ un edificio con pietra a vista , ad un unica navata , tipico dell’architettura rurale umbra : sopra l’altare vi è l’affresco detto ”Madonnuccia “ : la Beatissima Vergine dei Confini , con in braccio il Bambino che stringe sulla mano sinistra una tortora .
Per visitarla puoi telefonare ad Alessandro e Silvia ( 338 - 8000341 )
IL GUADO
C’era un tempo nelle valli e nei colli di alcune zone dell’Appennino Umbro marchigiano una coltura, molto estesa ed importante , che insieme alle piante da fibra come la canapa e il lino e alle piante tintorie come la robbia, la ginestrella e lo zafferano , non esiste praticamente più in questi territori : questa pianta è il guado.
Il guado ( nome scientifico : Isatis tinctoria ) è stato usato sin dall’antichità per produrre il colore azzurro, chiamato anche turchino o indaco, usato per tingere i tessuti .
Si tratta di una pianta appartenente alla famiglia delle Crucifere , come il cavolo, la rapa e il ravanello e dalle sue foglie si ricava il colore chiamato “ indaco” .
La pianta fu ampiamente coltivata in epoca romana e fino all’epoca moderna ; il colore veniva estratto attraverso un pre-trattamento delle foglie e una successiva macinatura con molini , collocati nella valle del Carpina per sfruttare l’energia idraulica delle acque .
La coltura, come detto, era molto estesa e dava molto prodotto : si seminava a fine gennaio , richiedeva diverse sarchiature per liberarla dalle cosiddette erbacce , dava anche sette raccolti in un anno .
Il principale acquirente era l’Arte della Lana di Firenze che, ad esempio, a Città di Castello , nel 1377, disponeva di un deposito di 173 tonnellate di prodotto contro le 66 che aveva nel fondaco di Firenze .
Nei secoli successivi questa pianta subì la concorrenza di un’altra pianta che produceva lo stesso colore , una leguminosa “ Indigofera tinctoria” , proveniente dalle Indie orientali , tuttavia il guado continuò a resistere sino ad entrare nell’Ottocento in una crisi irreversibile prima a causa dell’indaco di provenienza indiana e poi con l’introduzione, sotto il controllo dello Stato , della coltura del tabacco , che ebbe poi una successiva rapida espansione .
Il seme della pianta esiste ancora e viene utilizzato in certe zone per dar vita a coltivazioni a scopo sperimentale per ricavarne il colore .
Ad esempio la nota ditta Busatti di Anghiari , produttrice già dal XIX secolo di tessuti e derivati, nelle sue varie creazioni tavolta utilizza l’indaco ricavato dal guato, anche a ricordo di una grande tradizione della Valtiberina, che risale sino ai Romani .
*Estratto da: Flavio Mercati - La coltura del guato in Valtiberina - L’Oratorio di Anghiari (periodico del vicariato di Anghiari e Monterchi),n.5 - Ottobre-Novembre 2017